Vivi in Periferia e ti convincono che è stata una scelta

 

VIVI IN PERIFERIA E TI CONVINCONO CHE E' STATA UNA SCELTA di A. Celestini

 

Ti dicono che stai nel silenzio della campagna, fuori dal centro caotico. Che in periferia c’è il verde e le case so tutte villette. E alla fine pure tu che stai nel condominio sulla Tuscolana, che il tuo verde è una pianta grassa sul davanzale della finestra, che  il silenzio non lo senti manco alle due di notte e gli aeroplani delle compagnie low-cost che ogni tre minuti fanno scalo a Ciampino inquinano l’unico rettangolo di parco pubblico all’Appio Claudio…alla fine pure tu ti convinci che sei un privilegiato, metti il nano da giardino sul balcone e il tuo appartamento in affitto si trasforma in una villa in campagna.

Il pomeriggio del 26 dicembre siamo usciti di casa. Abitiamo in via Bellicia, dove non c’è il marciapiede, si passeggia in mezzo alla strada. L’unico posto dove puoi andare è piazza Castrolibero, che mia madre chiama ancora in mezzo al prato perché vent’anni fa c’era l’erba i mia nonna ci andava a raccogliere la cicoria. In mezzo al prato ci stanno dieci negozi, un parrucchiere e il bar, ma a santostefano sono chiusi. Allora abbiamo preso la macchina. Io e mia moglie quando andavamo a passeggio da ragazzi potevamo pure girare al buio per le strade di Morena, ma adesso abbiamo un bambino di un anno e bisogna andare in un posto decente per fare due passi. Mi hanno sempre fatto un po’ squallore quelli che passano il tempo al centro commerciale. Adesso ci andiamo pure noi col pupo perché non ci sono alternative. Lo stato ci abbandona perché non ce la fa, perché non vuole farcela, perché è in svendita, perché è morto come tutte le grandi istituzioni del millennio scorso. Ma il commercio è vivo e si occupa di noi. I bambino stanno a mollo nelle palline dello smoland di Ikea, i buongustai se ne vanno da Illy al terzo piano di Cinecittà Due, gli intellettuali fanno un giro tra i libri di Arion, le signore vanno al Carrefour e poi buttano un occhio ai vestiti di Coin. Perfino i precari di Atesia, magari i capetti travestiti da manager, se ne vanno a fare l’aperitivo al baretto del centro commerciale. Anche io, mia moglie e mio figlio ci andiamo. Queste cose riusciamo a farle tutte e siamo in grado di frequentare anche due colossi del commercio in uno stesso giorno.

Ma a Natale questi posti son chiusi e allora ci andiamo a cercare un buco dove far finta che la periferia sia un posto umano e viverci è una scelta. Ma qui non c’è un giardino dove fare due passi, una galleria dove entrare in libreria, un luogo pubblico dove sia possibile fingere di essere cittadini. Eppure i cittadini ci stanno. Il 26 dicembre era pieno di gente sulla via Tuscolana che faceva avanti e indietro sul marciapiede, che si fermava nei pochi bar aperti, che si affacciava alle vetrine dei negozi chiusi, tanto che era impossibile trovare posto per la macchina. Erano zombie. Che non significa essere vivi, ma nemmeno completamente morti. Nell’unico cinema del decimo municipio ci stavano tutti i film panettone che sono usciti per Natale. L’allegra brigata di De Sica, entrambi i filmoni americani con Nicola Cage e Nicol Kidman, la moglie natalizia di Pieraccioni e due cartoni animati. Mancava solo il matrimonio alle Bahamas di Boldi. Così abbiamo fatto il giro di via marco valerio corvo da Romolo all’enoteca di Giuda Ballerino. E’ entrato qualcuno “si ricorda di me? Ho preso due casse di vino, mi ha aiutato a portarle in macchina. Lo abbiamo finito, ce ne avrebbe dell’altro? Non mi ricordo la marca”. Noi ci siamo bevuti una cosa insieme “quando riapre il tuo ristorante?” Romolo ha detto “speriamo per l’inizio di gennaio. Il bambino la mangia un po’ di cioccolata?” “non ancora, grazie”. Poi siamo tornati a casa.

 

Vivi in periferia e ti convincono che è stata una scelta

Poi ti ci chiudono dentro. Ti chiudono a scuola per vent’anni, quando va bene. Ti chiudono dentro alla certezza della precarietà del lavoro. Ti chiudono dentro casa con la pianta grassa e il nano sul balcone, quando hai la fortuna di averci il balcone. Di averci la casa. Poi qualcuno incomincia a farci qualcosa con questa periferia. Così nel ’99 in uno spazio dell’ex-istituto Luce di Cinecittà nasce Batti il tuo tempoche non è un posto dove mettere i ragazzini a nuotare tra le palline colorate, non ci fai l’aperitivo, non incontro Boldi e De Sica. Però si fanno i corsi di teatro, di musica, ci sono le sale prove. C’è il corso di fotografia e quest’anno un pezzo di questo lavoro è passato anche per il piccolo festival Bella Ciao che organizziamo a pochi metri dal lor centro. Una mostra che racconta un po’ di Roma che non è solo la periferia con la pianta grassa, ma soprattutto un posto abitato da persone che rimettono insieme i frammenti di una memoria individuale. Una memoria che sopravvive se viene raccontata, che prende forma quando qualcuno la ascolta e, in questo caso, la guarda attraverso la sua trasformazione. E poi Batti il tuo tempo è soprattutto un posto dove entrare. Dove c’è la possibilità anche per non fare niente. Per chiacchierare, giocare a ping-pong. Farlo gratis. Senza prendere l’hamburger da Mc Donald’s o l’aperitivo al baretto. Quando anche nella Russia appena rivoluzionata Lenin incominciò a ripristinare l’economia di mercato fondata sul denaro, Marcel Mauss scrisse il suo “Saggio sul dono” dove sosteneva che le economie arcaiche non erano fondate sul baratto, ma sul dare-ricevere-ricambiare. Su una sorta di forza insita negli oggetti che è possibile preservare solo se si evita il tornaconto personale, se nello scambio c’è il mutuo appoggio. Pensava che una nuova società non potesse essere istituita per decreto statale, ma che dovesse nascere dentro al guscio di quella vecchia attraverso l’autogestione.

Vivi in periferia e ti convincono che è stata una scelta.

Poi magari scegli anche di viverci se ti permettono di uscire dal tuo balcone.